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Per Aspera Ad Veritatem n.10
Perché è necessaria un'intelligence policy europea?

Alessandro POLITI




Se si guarda al grande dibattito sullo sviluppo della sicurezza europea si nota come il tema dell'intelligence brilli per la sua assenza. La stessa constatazione si può fare, eccezion fatta per un contributo piuttosto diseguale e controverso, anche nel dibattito nazionale. (1) Le ragioni per questo silenzio sono molteplici e distribuite tra il livello nazionale e quello internazionale.
A livello nazionale deve ancora cominciare seriamente lo sviluppo di una cultura dell'intelligence. Sinora la discussione è stata dominata dalla ricostruzione storico-giudiziaria e dalle valutazioni politiche degli eventi durante la Guerra Fredda connessi alla "strategia della tensione" ed agli "anni di piombo". Sono naturalmente dei temi di grande importanza e che, in una parte rilevante dell'opinione pubblica, attendono una risposta completa e soddisfacente. Tuttavia è altrettanto ragionevole affermare che l'analisi degli errori politici ed operativi passati non basti per tracciare con chiarezza il futuro e garantire l'efficacia dei Servizi Informativi nazionali ed europei nel nuovo contesto strategico mondiale. è insomma importante costruire il futuro con uno sguardo che, per dirla alla francese, "non sia incollato al retrovisore". Il passato non va dimenticato, ma non può sequestrare il presente ed il futuro a tempo indefinito, pena la sterilità intellettuale ed operativa permanente.
Cominciare a concepire una intelligence policy (politica delle attività informative) a livello europeo non è soltanto un utile mezzo per togliere la discussione nazionale dalle proprie ripetitività e tabù, ma deriva dalla semplice constatazione che l'Unione Monetaria Europea ha conseguenze che vanno molto oltre la pura dimensione monetaria. Nell'era dell'informazione l'intelligence ha, e deve avere, un valore aggiunto ed un'importanza superiore rispetto alla lunga glaciazione della Guerra Fredda, dunque essa è intrinsecamente in presa diretta con i grandi movimenti globali.
Tuttavia, a livello internazionale, è opinione di molti professionisti del settore che essa debba rimanere discretamente dietro le quinte, se non addirittura godere della totale "invisibilità". Non bisogna stupirsi che l'idea stessa di una intelligence policy europea desti comprensibili preoccupazioni, dal momento che nella prassi già una politica nazionale informativa è un oggetto piuttosto sfuggente.
Scopo di quest'articolo è la dimostrazione che una politica europea comune è: necessaria, compatibile con gli attuali impegni politici internazionali e realizzabile.
Un'intelligence policy europea si rende necessaria in quanto alcune discussioni politiche sono già cominciate e rischiano di concentrarsi su temi assai limitati. Inoltre, senza una buona preparazione, il dibattito rischia di svolgersi disordinatamente e di sfociare in conclusioni improduttive. Il dibattito relativo ad un programma satellitare europeo, con particolare riferimento ai rapporti elaborati dalla Commissione Difesa dell'assemblea della UEO, è stato utile per aver messo all'ordine del giorno la questione, partendo da un aspetto dove l'esigenza di collaborare suscita minori controversie. Tuttavia, acquisire satelliti senza un'ampia intesa sull'"intelligence-sharing" (scambio informativo) tra i produttori ed i consumatori di informazioni avrà un effetto molto limitato.
Dal momento che i metodi e le esigenze informativi non vengono determinati sulla base di astratte necessità politiche, ma sono concretamente individuati dai singoli servizi informativi impegnati nell'anticipare e soddisfare le richieste dei loro referenti politici (2) , tale politica non ha bisogno di tante strutture formali ed istituzionali. Dovrebbe essere invece percepita e praticata come una nuova cultura che permei il comportamento collettivo dei servizi interessati. Tuttavia, l'utilizzazione del termine politica implica un concetto più esteso rispetto a quello di un semplice nuovo modus vivendi et operandi, perché la scelta di come condividere l'informazione è legata a precise valutazioni strategiche.
Questa politica viene definita come europea perché scenari di sicurezza differenti e nuove relazioni transatlantiche impongono ai Paesi europei la responsabilità primaria d'incrementare le proprie capacità e, quindi, anche il contributo che essi potranno fornire alla sicurezza comune. La stessa NATO non verrà tenuta nella dovuta considerazione dal congresso statunitense (3) , se 14 dei suoi Paesi membri non dimostreranno di poter offrire ai loro partner nord-americani qualcosa di valido a livello mondiale. Le istituzioni europee, sia politiche che di sicurezza, godranno di credibilità soltanto nella misura in cui potranno misurarsi su questa pietra di paragone. Un'analisi sulle prospettive di una intelligence policy europea potrebbe partire dalla seguente affermazione: "Il problema non sono i rapporti con gli americani, ma tra europei (The problem is not the US, the problem is us)".
L'articolo esaminerà prima gli ostacoli che si ergono sulla via della cooperazione e poi i fattori professionali, finanziari e politici che rendono auspicabile la realizzazione di tale intelligence policy europea. In ultimo indicherà alcune potenziali aree di cooperazione. La scelta di questa sequenza non è casuale, perché si vuole evitare di partire da principi politici apparentemente astratti per poi arrivare a conseguenze e vantaggi pratici. Seguendo il percorso opposto si vuole facilitare la dimostrazione che la cooperazione è innanzitutto un approccio pratico e concreto per la soluzione di problemi reali, soprattutto a vantaggio di lettori "euroscettici". Questo non significa che le ragioni politiche sottese alle proposte siano meno rilevanti; al contrario esse non potranno che essere valorizzate da una precedente soluzione dei problemi pratici.


Dunque, se si parte da questo interrogativo non è certo agevole dimostrare la validità di una intelligence policy comune, tuttavia così si individueranno prima gli ostacoli da superare e poi i vantaggi che realisticamente si potranno conseguire.
Il primo ostacolo è proprio la sicurezza. Fiducia e sicurezza sono esigenze irrinunciabili quando si devono proteggere da un'inopportuna rivelazione un'informazione sensibile, i metodi utilizzati per ottenerla e, soprattutto, la fonte. Si tratta di una difficoltà già sperimentata molte volte da tutte le agenzie nazionali nei loro rapporti con il mondo esterno e non vi è una ricetta precotta ed universale per garantire costantemente un alto grado di sicurezza. Sembrerebbe ragionevole supporre che con il moltiplicarsi degli scambi informativi, i possibili rischi tenderanno ad aumentare e con essi anche la reticenza ad ampliare tali scambi.
L'unica risposta è probabilmente la seguente: per quanto sia piccolo il numero di partner che collaborino, vi saranno falle nella sicurezza. Tuttavia, anche le più disastrose penetrazioni (alcune verificatisi anche nell'ambito di relazioni bilaterali molto forti e speciali) non sembrano propagarsi a macchia d'olio, né influenzare a lungo termine la qualità originaria del rapporto. Va tuttavia tenuto presente che con l'incremento del numero di agenzie cooperanti, si moltiplicheranno anche i controlli di sicurezza.
La protezione delle fonti, specie quelle umane, continua, e giustamente continuerà anche nel futuro, a rivestire priorità assoluta anche nell'ambito di cooperazioni molto strette. La protezione dei metodi potrà invece cambiare a seconda dell'importanza assegnatale: dove i livelli di fiducia reciproca e cooperazione sono bassi la sua importanza sarà maggiore, se invece sono alti, la condivisione dei metodi può incrementare l'efficacia delle operazioni. La sicurezza delle informazioni non può essere considerata come fine a se stessa. La sua funzione è quella di garantire l'accesso esclusivamente a chi è autorizzato. A volte coloro che hanno effettivamente "necessità di conoscere" non possiedono le adeguate autorizzazioni per accedere alle informazioni. La Guerra del Golfo ha illustrato questo caso così chiaramente che oggi si può pensare che il criterio di distribuzione d'informazioni classificate militari non può più dipendere rigidamente dal grado del ricevente. Lo stesso si può dire anche in situazioni non-militari. Bisogna onestamente ammettere che il sistema di "security clearance" durante la Guerra Fredda era estremamente più semplice visto il numero esiguo degli obiettivi e l'utilizzazione del vaglio ideologico e politico. Oggi, in un mondo di rapporti in continuo mutamento e trasformazione, il diritto di accesso a determinate informazioni viene determinato caso per caso.
Un altro grande ostacolo è rappresentato dal timore che un'accresciuta cooperazione europea possa mettere a repentaglio relazioni privilegiate con partner di grande peso. Molto dipenderà dalle clausole su cui si basano tali relazioni. Tuttavia, quando il peso dei partner è molto diseguale, allora bisognerebbe guardare alle nuove opportunità europee piuttosto che ai tradizionali svantaggi temuti nel bilaterale. Attendere passivamente di divenire ostaggi di eventuali progressi tecnologici nel settore dei sistemi satellitari di ritrasmissione dei dati non sembra una scelta sensata. Una intelligence policy europea potrebbe, ad esempio, prolungare la vita di quella partnership, grazie ad un più efficace contributo informativo del partner "minore" ed al profilo più alto che un'ampia collaborazione europea gli conferisce.
Al timore di minare le "relazioni speciali" fa pendant la paura del "cavallo di Troia" quando una o più agenzie coinvolte nell'ambito di una intelligence policy europea rivelino informazioni sensibili ad alleati maggiori o agiscano sotto la loro influenza. Per quanto nel periodo della Guerra Fredda questo fosse scenario corrente da ambo le parti della Cortina di Ferro, è interessante vedere oggi, con il senno di poi, quanto gli interessi nazionali e regionali, nonostante la polarizzazione Est-Ovest, abbiano potuto sopravvivere. Da allora il panorama strategico mondiale è profondamente mutato e lo scenario da "cavallo di Troia" sembra essere molto meno credibile.
Del tutto diverso è il problema dell'"intelligence targeting" tra alleati. Sino a quando si tratta di un'attività sporadica e limitata alla HUMINT costituisce un fattore d'irritazione minore. Quando invece è un'attività massiccia e ininterrotta, può costituire un fattore di erosione continua della fiducia tra alleati perché non più giustificata dalle condizioni di guerra fredda. (4)
Differenti sono le difficoltà per una intelligence policy europea quando vengono inclusi Paesi con una lunga storia di antagonismo. Poiché uno scambio informativo più sistematico sarebbe necessario, questi Paesi potrebbero immaginare di essere indotti ad una maggiore esposizione reciproca e, con ogni probabilità, contrasterebbero questo sviluppo. Si tratterebbe senza dubbio di una circostanza sfavorevole, eppure le conseguenze sarebbero piuttosto limitate:
- in primo luogo perché l'intelligence riguardante la sicurezza nazionale non sarebbe oggetto di scambio;
- in secondo luogo, perché i settori nei quali è possibile sviluppare la cooperazione sono di gran lunga più numerosi di quelli ritenuti "off limits";
- terzo, perché gli organismi coinvolti scoprirebbero rapidamente che il prezzo da pagare per delle limitazioni autoimposte è maggiore rispetto ai costi di una cooperazione a geometria variabile;
- quarto, perché le rispettive leadership sono consapevoli di trovarsi di fronte a sfide che travalicano le rivalità regionali e sanno che una maggiore, non dichiarata "trasparenza" e canali di comunicazione riservati hanno i loro vantaggi.
Tra gli ostacoli maggiori non si può dimenticare il timore che il servizio informativo di un Paese più piccolo venga infiltrato, influenzato, controllato e finisca per essere poi dominato da partner di maggior peso. La storia della cooperazione in ambito europeo è ricca di simili percezioni da parte di partner minori, anche in settori ben più esposti al vaglio della pubblica opinione ed alle regole della concorrenza. Tale timore, tuttavia, non vede un elemento essenziale: in Europa non vi è una sola agenzia informativa nazionale (anzi nemmeno un solo Stato-nazione) che possa aspirare o semplicemente pretendere di detenere una supremazia. Sotto il profilo globale, la scena dell'intelligence europea non è che un agglomerato di entità più o meno sottodimensionate, la cui unica magra consolazione è di essere in buona compagnia. I servizi europei, e soprattutto i loro superiori politici, dovrebbero decidere se desiderano svolgere collettivamente un ruolo di maggiore rilevanza grazie a sinergie pragmatiche, oppure se preferiscono restare dei nani nel mondo.
Probabilmente l'ultimo ostacolo è rappresentato dalla esistenza di un sano esprit de corps che induce ogni organismo d'intelligence a fare affidamento, in ultima analisi, solo sul proprio lavoro. Si tratta di un atteggiamento naturale per qualunque serio ricercatore (sia su fonti aperte, sia su quelle classificate), ma che non dovrebbe mai portare a dimenticare quali sono i limiti reali delle risorse di ciascuno servizio. Il tempo è forse la risorsa più critica ed il rapido ritmo della politica internazionale non può essere tenuto soltanto con risorse tecniche ed umane nazionali. è quindi necessario concentrare le risorse disponibili nei settori d'interesse prioritario ed accettare nel resto di affidarsi al lavoro altrui.


a. Vantaggi professionali
Ancora una volta, abbiamo preferito esporre i vantaggi partendo deliberatamente dai livelli più operativi. Il fine è quello di dimostrare, a livello funzionale, l'utilità di questo approccio, eliminando la sensazione che tutto derivi da un qualche vago e discutibile teorema politico. Soltanto al termine della presente relazione, si tenterà di fornire spunti di riflessione più propriamente politici.
In primo luogo, c'è semplicemente troppo materiale classificato e non, perché una sola agenzia o anche due partner europei siano in grado di raccoglierlo, analizzarlo e valutarlo.
Un elenco stringato delle competenze generali di un servizio informativo potrebbe essere il seguente:
- intelligence militare, ivi compresa la proliferazione (nucleare, biologica e chimica) ed il traffico di armamenti e di tecnologia avanzata;
- intelligence sul terrorismo;
- intelligence militare su Paesi stranieri e possibili insurrezioni, inclusa ogni attività di prevenzione dei conflitti, di mantenimento della pace e di intelligence di verifica dei trattati di disarmo;
- attività informativa sulla politica interna ed estera e sulla politica economica interna ed internazionale di Paesi stranieri;
- intelligence intesa a supportare l'azione diplomatica nei settori politico ed economico (l'intelligence economica potrebbe essere considerata un settore particolare in comune con l'attività precedente);
- controspionaggio, spionaggio offensivo contro agenzie staniere e loro infiltrazione;
- contributo alla lotta al crimine organizzato ed al traffico di sostanze stupefacenti;
- intelligence sui disastri ambientali compiuti dall'uomo.
A questo già di per sé formidabile carico di competenze alcuni organismi aggiungono anche azioni clandestine e information warfare (guerra delle informazioni). (5)
E' poi opinione generale, a livello nazionale ed internazionale, sulla mancanza di una minaccia ben definita e sull'emergere invece di una molteplicità di rischi imprevedibili. Per gli organismi di intelligence questo comporta un ulteriore ampliamento delle esigenze di raccolta informativa ed una moltiplicazione dei possibili obiettivi. Ancor peggio, alcuni obiettivi possono assumere o perdere rilevanza in relazione ad un interesse transitorio che hanno suscitato nell'ambiente politico o nell'opinione pubblica.
Così come è stato in più occasioni sottolineato da Robert (Bob) Steele (6) : "Siamo passati da una raccolta informativa preventiva, just-in-case, ad una estemporanea, just-in-time". Una minaccia chiaramente delineata, prodotta da un regime sovietico pieno di segreti, aveva portato a raccogliere ogni elemento disponibile per poter inserire la giusta tessera nel puzzle quando le circostanze lo avessero richiesto. Rischi dai contorni più sfumati, spesso generati da organizzazioni occulte statali o non statali, si palesano inaspettatamente sulla scena politica e richiedono una risposta immediata da parte dell'autorità politica. Da una parte l'attività d'intelligence si deve tradurre in un sforzo continuo e sistematico di ricerca ed analisi delle informazioni per svelare i segreti, allo stesso tempo non può sempre attendere che la sua azione occulta dia frutti.
L'OSINT (Open Source Intelligence) non può colmare le lacune nella conoscenza dei segreti altrui, ma può aiutare nelle prime reazioni politiche sulla base d'informazioni tempestive. In questo senso il ruolo dell'intelligence diviene cruciale, non tanto per le sue potenzialità quanto per il suo sistema di "controllo della qualità" ed in alcune occasioni diviene un efficace canale d'informazione nell'apparato politico e governativo.
Gli organismi informativi nazionali affrontano oggi la pressante contraddizione nel preservare le loro capacità essenziali e simultaneamente nel rispondere in modo nuovo alla richiesta d'informazioni. Un approccio coordinato a livello europeo all'OSINT non precluderebbe l'attività informativa su misura per specifiche esigenze, ma farebbe senza dubbio risparmiare tempo e denaro. Le conseguenze di questa politica sugli aspetti contigui della guerra delle informazioni ed il netwarfare (guerra delle reti informatiche) non possono essere sottovalutate.
Uguale rilevanza riveste lo scambio di opinioni, nel quadro di un'intelligence policy a livello europeo, nel settore estremamente controverso dell'intelligence economica. Ogni Paese ha un suo modo di gestire la questione:
- offrendo supporto a contrattazioni governative;
- con il controspionaggio economico;
- lottando contro la concorrenza sleale (in termini USA: "livellando il campo da gioco");
- offrendo supporto informativo passivo, semi-attivo o attivo a strategie di aziende considerate di interesse nazionale;
- rifiutando di agire nel settore dell'intelligence economica, creando tuttavia organismi satelliti parastatali;
- monitorando la penetrazione e l'influenza economiche;
- facendo azione combinata di controspionaggio e di supporto per la distribuzione di informazioni aperte dal governo a tutte le società.
L'importante è che, nonostante gli interessi nazionali, nella maggioranza dei casi gli interessi comuni europei possono essere chiaramente identificati e dovrebbero ricevere l'attenzione che meritano. Il primo passo dovrebbe essere una chiarificazione del dibattito tra tutti gli organismi informativi così da evitare l'insorgenza di concezioni e metodi contrastanti. Le implicazioni della Moneta Unica Europea sono assai ampie: riguardano non solo il mondo degli affari, ma chiunque agisca nell'apparato statale.

b. Vantaggi economici
Alla base dell'intera questione vi è un problema fondamentale: non ci sono più soldi.
I bilanci sono stati decurtati, in alcuni casi continuano ad essere tagliati ed è una tendenza che almeno per il futuro prossimo non sembra destinata ad invertirsi.
Sono ristrettezze ricorrenti nella storia dell'intelligence. In genere avviene così: progressiva riduzione all'osso, declino nella qualità del reclutamento, calo di prestigio nel policy-making, bilanci ancora più ridotti, degrado dell'organismo, improvvisa emergenza di natura politica o militare seguita da una fortunosa resurrezione dell'organismo attraverso un caotico processo di rinascita o, più frequentemente, da un disastro informativo e dalla creazione di una nuova struttura.
Purtroppo sono finiti i tempi in cui i governi avevano tutto il potere e le capacità di decidere e di attuare le proprie strategie, oggi la situazione è molto più complessa. Può sembrare un paragone peregrino, ma l'intelligence si troverà presto nella stessa situazione dell'industria della difesa europea. Non vi sono fondi sufficienti per sostenere una solida base tecnologica e industriale nazionale della difesa e, senza una politica comune, risorse uniche andranno perdute. La situazione è tale che persino risorse intrinsecamente importantissime spariranno nell'indifferenza generale.
Il paragone può essere ulteriormente ampliato se si confrontano le esigenze degli Stati Uniti con quelle europee. Le conseguenze di decisioni fondate su informazioni sbagliate vengono risentite da circa lo stesso numero di individui, considerando l'interdipendenza degli Stati europei. L'esigenza di conoscere, tuttavia, è la stessa se non superiore. Anzi, governi di Stati più piccoli hanno bisogno di conoscere di più, meglio e più rapidamente se vogliono proteggere efficacemente i loro interessi. Eppure i bilanci a disposizione in senso assoluto e in senso relativo sono molto diversi.
Qualche duplicazione può essere necessaria, ma l'imperativo di spendere meglio non può essere risolto in ambito meramente nazionale. E' evidente che una dimensione europea può offrire la risposta migliore per ottimizzare i risultati, con vantaggi più ampi per i governi europei e per le relazioni transatlantiche.
E' naturale che nel settore della raccolta informativa "tecnologica" è in qualche modo più agevole promuovere strategie comuni. Ciò è stato dimostrato dal fallito progetto per il satellite britannico di SIGINT Zircon, da quello andato invece a buon fine per il satellite di PHOTINT franco-italo-spagnolo Helios e dai controversi programmi franco-tedeschi Helios II e Horus. A dieci anni dalla fine del progetto Zircon, alcuni insegnamenti utili devono essere tratti sulla possibile scelta tra un programma satellitare nazionale o in cooperazione. I satelliti sono tuttavia soltanto l'estremo più sofisticato e non determinante di un'ampia gamma di aspetti dell'attività informativa. Programmi satellitari comuni hanno bisogno che vi sia un atteggiamento culturale di fondo che permei tutta la comunità dell'intelligence a livello nazionale ed europea.
Un altro campo nel quale la mancanza di fondi è profondamente avvertita è la valutazione delle informazioni provenienti da tutte le fonti (aperte e chiuse). (7) Di per sé non si tratta di un settore particolarmente oneroso, al confronto con i capitali richiesti da sistemi hi-tech, eppure, ciò nondimeno ad essa vengono spesso allocati soltanto fondi residui, dopo che sono state finanziate tutte le altre attività ed esigenze più onerose. E' prassi burocratica porre più ampio accento sull'attività di raccolta informativa, che è maggiormente quantificabile, che non sulla più complessa e fluida attività di valutazione. La valutazione globale è tuttavia l'obiettivo ideale verso il quale tutto il lavoro di valutazione e raccolta informativa sulla singola fonte mira.
Un'ulteriore complicazione è data dal fatto che sinora la maggior parte dell'attività di valutazione è effettuata nell'ambito di strutture governative, il che in futuro potrebbe mutare se si vogliono sfruttare al meglio le risorse umane in ambito governativo. Dare all'esterno ("subappaltare") alcuni segmenti del processo di valutazione potrebbe rappresentare una soluzione, sempre che vi siano fondi sufficienti. Ancora una volta, una politica comune potrebbe essere di aiuto nel fare una graduatoria competitiva tra i fornitori esterni di servizi e nella distribuzione oculata delle risorse all'interno ed all'esterno della struttura governativa.

c. Vantaggi politici
Anche se in questo articolo sono stati citati per ultimi, è chiaro che sono quelli da cui discendono tutti gli altri citati in precedenza. Questo è vero non solo perché logicamente l'intelligence esiste in funzione della politica, ma perché la volontà di cooperazione tra servizi dipende pesantemente dall'impulso politico sovrastante.
L'esperienza comune tra gli operatori d'intelligence si riduce a pochi semplici casi:
- si possono fare interessanti discussioni multilaterali, ma con scarsi effetti pratici;
- si possono creare dei club tra servizi informativi ed in genere funzionano perché c'è una leadership più o meno indiscutibile;
- appena si arriva a montare un'operazione concreta l'unico sistema sinora concepibile è quello bilaterale o, al massimo, trilaterale.
Tuttavia le proposte sinora avanzate sfuggono in larga misura a questa rigida casistica. Riassumiamole:
- un approccio coordinato all'OSINT;
- una dottrina comune per information warfare e netwarfare;
- un approccio compatibile all'intelligence economica;
- programmi satellitari e di SIGINT comuni;
- all source evaluation ed outsourcing sulla base di criteri comuni, e laddove necessario, valutazioni informative congiunte;
- in futuro, workshop comuni per analisti.
Possono sembrare idee visionarie, ma non più di quanto lo fosse la moneta unica europea. Praticamente sono progetti che aiutano in modo graduale, condiviso e senza grandi rischi a costruire nei fatti una cooperazione più sistematica e forte tra servizi europei su bisogni avvertiti da tutti. Essi non danneggiano le numerose collaborazioni operative bilaterali esistenti, ma creano una rete di rapporti multilaterali che favoriscono uno spirito ed un'azione comune, al di là di quanto già sperimentato nel terrorismo e nella lotta alla proliferazione di armi di distruzione di massa.
Naturalmente questi progetti hanno bisogno di un placet politico, cioè hanno bisogno di una preventiva azione di persuasione nelle sedi più opportune, il che pone il noto problema del rapporto fra intelligence e politica.
Il rapporto tra la politica in ambito nazionale o internazionale e servizi d'intelligence non è assolutamente semplice o agevole da descrivere. Idealmente i servizi informativi svolgono il loro lavoro correttamente, indipendentemente dal Governo democratico che detiene il potere ma, più realisticamente, essi possono essere coinvolti in misura maggiore o minore dalla politica. Nemmeno la discriminante della nazionalità permette di definire nettamente i confini dell'attività d'intelligence. Gli organismi informativi sanno cosa significhino la spinta politica, il negoziato dietro le quinte, le scuole di pensiero, le cricche, le fazioni transnazionali, gli agganci internazionali, ecc...
A volte coloro che operano negli organismi di intelligence, come il personaggio di Alice nelle opere di Lewis Carroll o come il protagonista dello "Specchio di vera virtù" di Baltasar Gracian, hanno la possibilità di vedere il mondo dall'altro lato dello specchio. La lealtà rimane intatta, come è giusto che sia, tuttavia gli stereotipi politici perdono progressivamente credibilità. è proprio in questa fase che un servizio d'intelligence ha bisogno di tutta la sua esperienza, preveggenza ed istinto per offrire le migliori informazioni possibili in modo da facilitare la transizione da una vecchia costellazione di potere ad una nuova. I Parlamenti eletti ed i governi prenderanno le loro decisioni, ma è probabile che, se sono meglio informati, eviteranno decisioni controproducenti. Il termine generico d'"instabilità" è il movimento verso un nuovo ordine mondiale difficile da definire, ma che è vitale capire nei suoi tratti essenziali.
La prima manifestazione di questa situazione instabile è l'esigenza sempre più pressante di scambiare le informazioni in ambiti ed operazioni multinazionali. è ovvio che, in tale ambito, ci si trovi a cooperare con ex-nemici o, addirittura, con sconosciuti la cui affidabilità non è sperimentata. La risposta più ovvia è quella di espurgare le informazioni dai loro elementi più sensibili, fino al limite della loro utilità. Un altro mezzo più utile è la firma di accordi di sicurezza con nuovi potenziali alleati (così come sta avvenendo nella UEO, prima di un eventuale allargamento), oppure creare "club" che raggruppino organismi dalla natura similare.
La seconda contraddittoria manifestazione è l'inclusione tra i bersagli informativi di Paesi prima considerati amici, perché le vecchie lealtà collettive stanno cedendo il passo a nuovi bisogni politici ed economici. Non bisogna sopravvalutare un elemento generalmente marginale, ma allo stesso tempo non va sottovalutato l'effetto corrosivo che può avere sulla fiducia reciproca, specie se condotto con eccessiva sistematicità.
Tutto ciò avviene nei Servizi del Vecchio Continente, dove le tendenze politiche per una più stretta cooperazione internazionale e per una più profonda integrazione in ambito europeo a volte si rafforzano vicendevolmente, ma a volte si contrastano con veemenza. Su questo sfondo, una intelligence policy europea sembra più che necessaria, è indispensabile.
Così come dichiarato appropriatamente da un esperto funzionario di intelligence tedesco: "I Servizi informativi sono l'ultimo simbolo ed incarnazione della ragion di Stato". Eppure nell'Europa occidentale questa dichiarazione suscita due interrogativi fondamentali: quale Stato, e quale ragion di Stato?
Con la prossima introduzione dell'Euro, sicuramente lo Stato-nazione nell'Europa occidentale non sarà più quella entità onnipotente che troneggiava sul panorama di inizio secolo. Due conflitti mondiali, una Guerra fredda, un miracolo economico, il Sessantotto, tre gravi recessioni, il processo di integrazione europea e la globalizzazione dell'economia, hanno trasformato questa realtà politica fino a renderla letteralmente irriconoscibile.
Gli Stati-nazione nacquero perché garantivano la sicurezza esterna, l'ordine interno, la prosperità nazionale ed in certo qual modo l'identità culturale. Oggi invece offrono in questo senso garanzie limitate, nel migliore dei casi, ed è ormai convinzione diffusa, più o meno apertamente espressa, che soltanto attraverso una dimensione europea (qualunque essa sia) gli interessi nazionali possono essere promossi e protetti. Alcune vecchie concezioni politiche sventolano ancora la bandiera della sovranità nazionale, ma la sovranità che offrono è povera cosa. Se sovranità significa poter dire solo di no, allora regge male il confronto con la facoltà di partecipare attivamente alla creazione del proprio futuro. Questa è esattamente la situazione in cui si dibattono tutti i Paesi membri della UE e della UEO, a paragone con altre vere grandi potenze.
I Governi ed i Parlamenti democratici, responsabili di fronte ai cittadini, sono la fonte della legittimità della ragion di Stato, ma ciò non significa che vi sia una ed una sola ragion di stato per ciascun governo nazionale, né che un'impotente legittimità sia il miglior strumento di difesa della democrazia e degli interessi nazionali. Una ragion di Stato che non sia in grado di progettare e di promuovere il cambiamento è la via al suicidio nazionale in ralenti.
Se è vero che stiamo vivendo il tempo della rivoluzione della informazione, allora i Servizi d'intelligence possono essere tra i protagonisti principali. Essi posseggono una preziosa esperienza nella gestione delle fonti, nell'analisi speculativa, nella ricerca accurata, nell'utilizzazione di ipotesi di lavoro e a volte possono disporre ancora delle risorse per gestire i sistemi ad alta tecnologia per la sintesi delle informazioni. La realizzazione di un rapporto solido, di mutua utilità con altri settori professionali fondati sulla gestione delle informazioni è un passo essenziale sulla via della creazione di "smart nations" che costituiranno una "smart Europe". (8)
Frequentemente dagli ambienti politici viene avanzata l'obiezione che un'intelligence policy a livello europeo potrebbe essere un altro elemento di disturbo nelle relazioni transatlantiche che già attraversano una fase di trasformazione. L'intelligence possiede sicuramente una sua valenza strategica ed è fortemente simbolica dal punto di vista politico, ma l'Alleanza è mutata rispetto ai giorni della Guerra Fredda così come sono mutate le esigenze degli alleati nordamericani. Un rapporto che sopravvive se tutte e due le parti avvertono un mutuo beneficio. I Paesi europei, con un contributo informativo alla sicurezza comune stimato del 20% sul totale, non hanno in mano argomenti convincenti.
Si potrebbe argomentare che un rapporto sbilanciato possa essere ugualmente vantaggioso, ove il partner più forte si voglia far carico del peso e dei maggiori costi che la leadership comporta. Nel settore dell'intelligence questa soluzione può ancora avere una sua validità, ma nel quadro politico globale è vero il contrario. Gli USA sono sostanzialmente disposti ad accettare alcuni svantaggi insiti in un rapporto più equilibrato in cambio di un maggiore appoggio agli interessi comuni da parte dell'Europa in tutto il mondo. Per citare un esempio relativo ad un alleato molto stretto, è interessante notare come in Israele, mentre il programma Lavi per lo sviluppo di un caccia è stato cancellato per mancanza di finanziamenti statunitensi, quello per i satelliti Ofeq (Horizon) è invece andato a buon fine. (9)


La creazione di una intelligence policy europea è necessaria, compatibile con altre politiche e realizzabile.
E' necessaria perché, da un punto di vista professionale, nessun organismo informativo europeo è in grado da solo di far fronte alla valanga globale di dati e di gestire le implicazioni dell'OSINT e dell'intelligence economica, tutto un elenco inesauribile di esigenze di raccolta informativa. I bilanci sono in via di progressiva contrazione: a livello nazionale gli stanziamenti finanziari per l'intelligence sono del tutto insufficienti per lo sviluppo di nuovi programmi ad alta tecnologia per la raccolta informativa, di una significativa capacità di valutazione delle fonti, interna o esterna ai servizi d'intelligence e, in alcuni casi, anche soltanto per conservare le abilità specialistiche già acquisite.
Infine è necessaria perché è una politica sensata in qualunque scenario immaginato per gli sviluppi dell'integrazione europea. Prendendo atto realisticamente dei limiti degli Stati-nazione europei, essa cerca di offrire a tutti i governi interessati l'intelligence migliore e più diversificata possibile. I detentori del potere decisionale potranno scegliere da soli la forma migliore per sviluppare gli interessi nazionali nell'ambito di un diverso quadro politico, in quanto il flusso informativo che giungerà loro da una più ampia sinergia a livello europeo sarà di qualità superiore e sarà più obiettivo rispetto a quanto avrebbero potuto ottenere tramite le limitate risorse di bilancio a loro disposizione.
Tale politica è compatibile con le esistenti lealtà ed alleanze, in quanto ricava i suoi aspetti pratici da sviluppi già esistenti e da decisioni politiche prese ai più alti livelli. Essa permette non soltanto di conservare le esistenti relazioni privilegiate, ma promette di rivitalizzarle. Non metterebbe a repentaglio specifici interessi di sicurezza, ma incrementerebbe la cooperazione ove possibile ed auspicabile.
E' realizzabile in quanto non trascurerebbe significative preoccupazioni di sicurezza, rapportandole ai previsti vantaggi concreti, e offrirebbe una struttura agile ed essenziale per uno sforzo congiunto di fronte alle sfide comuni vecchie e nuove: satelliti, OSINT, intelligence economica, guerra delle informazioni, guerra informatica, addestramento congiunto e pooling di analisti, valutazione globale delle fonti (ampliando ad esempio i compiti ed il ruolo dell'attuale Sezione Informativa e del Centro Situazione della UEO). Queste, insieme ai nuovi pericoli per la sicurezza (crimine organizzato, traffico di droga, grandi rischi ambientali, flussi migratori, carenza di risorse naturali ecc...) sono tutte potenziali aree di cooperazione nell'ambito di una intelligence policy europea flessibile, informale, ma chiaramente concepita.


(*) Sullo stesso argomento l'Autore ha presentato una relazione per l'Istituto di Studi sulla Sicurezza della UEO al Convegno:"Il percorso di un'intelligence policy europea", svoltosi a Parigi il 13-14 marzo 1997
Traduzione a cura della Redazione.
(1) L'ultima discussione, meritevole per la relativa diffusione che ha avuto, insufficiente per le carenze del documento medesimo e per lo scarso approfondimento nel dibattito intellettuale e pubblico, è avvenuta in occasione della presentazione del cosiddetto "documento Jucci".
(2) Vds. Michael Herman, "Intelligence power in peace and war", RIIA-Cambridge University Press, Cambridge, 1996, pp. 293-295.
(3) La caotica e distratta discussione al Senato statunitense sulla ratifica dell'allargamento della NATO lo scorso 18 marzo è un campanello d'allarme da non sottovalutare, così come i ripetuti ricatti politici interni all'azione dell'Amministrazione.
(4) Gli affari Promis ed Echelon II sono un esempio illuminante.
(5) Le prime mirano ad interferire più o meno estesamente con la politica interna di un dato governo, mentre la seconda mira a manipolare ogni mezzo d'informazione in vari modi, e comprende attività di disinformazione.
(6) Ex funzionario dell'USMC Intelligence e della CIA e uno degli ispiratori della rivoluzione legata all'Open Source Intelligence (OSINT) negli Stati Uniti. Congresso dell'OSS, 4-9 novembre 1996, Washington.
(7) La cosiddetta all source evaluation.
(8) "Nazioni intelligenti" che investono risorse consistenti nella educazione culturale dei propri cittadini, nello sviluppo di una società fondata sulla conoscenza e di una infrastruttura informativa, che favoriscono quindi il rapido e significativo scambio di informazioni.
(9) Quali siano dal punto di vista dell'intelligence gli accordi intercorsi tra Israele e gli USA riguardo ai dati prodotti da questi satelliti non è cosa nota. L'elemento importante da sottolineare è il fatto che Israele possiede ora il suo satellite senza aver dovuto chiedere risorse ad altri.

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